mercoledì 14 giugno 2017

Il primo partito italiano.


Repubblica titola che l'affluenza alle urne domenica 11 giugno si è assestata sul 60,07%.
Questo significa che il partito dell'astensione a prescindere dal numero di elettori convocati, è stabilmente rappresentativo di circa il 40% degli aventi diritto e che dunque, se avesse una veste politica, conseguirebbe quasi certamente il premio di maggioranza in caso di elezioni politiche.
Questa, a mio avviso, è la certificazione di un acuto stato morboso della nostra democrazia.

Discutendo con una mia amica, appassionata sostenitrice di M5S che sta cominciando a non poterne più del mio atteggiamento critico verso quella formazione, emerge che il contendere, al momento, è tra la cosca vincente della politica italiana e i salvatori di M5S, visti come il grimaldello col quale forzare il dispositivo di potere, politico, mediatico ed economico del regime nel quale viviamo.

Dal PD  non credo potrà mai venire qualcosa di buono, in effetti, però a mio parere il problema è un altro, e deriva dal fatto che  chiunque si aggiudichi la vittoria non può, in queste condizioni, che rappresentare una minoranza, essendo gli altri la minoranza che ha espresso un voto differente sommata alla grande massa, quella sì maggioritaria, degli astenuti.

In queste condizioni si può al massimo esprimere una benevola dittatura dei giusti, ma più facilmente, come abbiamo visto finora, un comitato d'affari al servizio di precisi interessi, che non sono certo di servizio pubblico.

Affidarsi, come fanno la mia amica e molte altre persone che rispetto, al Movimento per spezzare un monopolio soffocante è  comprensibile, ma è un pensiero non molto differente da quello che informò l'antiberlusconismo, che tenne insieme un'opposizione unita in niente, una sorta di armata Brancaleone che, cessato - forse - il pericolo, si è poi sbandata.

Il collante che dà forza al Movimento è la condanna della classe politica, la sua debolezza è, a mio modestissimo parere, la vaghezza della cura che dovrebbe seguire alla soluzione del male principale.  In questa debolezza risiede, io credo, la consistenza dell'esercito degli astenuti.
Far fuori il nemico principale non è  sufficiente, e non lo è mai stato.

Forse è per questo che la presa del movimento è su settori della popolazione abbastanza giovani da non aver interiorizzato precedenti delusioni.
Ma forse questi sono solo i rimuginamenti di un signore di età.

So già che molti penseranno: «bravo, e la soluzione sarebbe.... ?»
Certo, io una soluzione non ce l'ho, ma neanche ce l'ha chi mi farebbe quella deliziosamente maliziosa domanda in realtà, e qui sta il punto.

Ci sono milioni di persone che vivono sulla propria pelle condizioni che non si vedevano più dall'immediato dopoguerra.
Sono in un cantuccio, prive di prospettive e ridotte ad una faticosa sopravvivenza.
Persone che, a differenza dei miei genitori in quei tardi anni '40, non trovano nella politica alcuna rappresentanza e che dunque hanno smesso di interessarsi e di esercitare il primo e fondamentale esercizio di democrazia.

Come possono gli attori politici, tutti e nessuno escluso, gloriarsi di alcunché fino a quando non si metteranno in contatto con quelle persone?
E come rimanere tranquilli sapendo che in quel 40% la disperazione è la cifra centrale dell'esistenza?

In altri tempi il fascismo ed il nazismo dei primordi trovarono in un vasto serbatoio di dimenticati il carburante per la loro marcia verso il potere.  Dobbiamo essere grati del fatto che, finora, non si sia riproposto l'identico schema, forse perché quel 40% accoglie un bel pezzo di un popolo di sinistra che non trova ragioni per approdare da qualche parte, condannandosi ad una crociera senza fine.

Una riflessione, questa ultima, per gli ingenieri della ricostruzione di una sinistra. La roba c'è, ma bisogna dire, e soprattutto fare, le cose giuste.

lunedì 12 giugno 2017

La morte lenta di una democrazia

E' la mattina del 12 giugno 2017 e sto svogliatamente guardando i risultati non ancora definitivi della tornata elettorale del giorno precedente.
La cosa che mi sento di rilevare è che l'unico dato finora attendibile pare essere quello dell'individuazione del primo partito nazionale, ovvero quello dell'astensione, in continua lievitazione.

Un dato che, tra l'altro, rende necessario confrontare le percentuali conseguite dalle varie formazioni politiche in rapporto non ai votanti, bensì agli aventi diritto al voto, per collocarle nel giusto peso e nel reale significato.

Facendolo non si può che prendere atto del fallimento della politica, in senso lato, la quale, nel momento in cui non riesce a motivare il popolo a compiere il primo e più elementare esercizio di cittadinanza democratica, dovrebbe anche assumersene la responsabilità, cosa che non mi pare abbia intenzione di fare.

Poi possiamo anche parlare dei risultati che stanno emergendo, che sembrano sottolineare un costante calo dei consensi PD, magari mascherati dalla scarsa affluenza elettorale, che droga il risultato, ma anche - veltronianamente - una brusca frenata pentastellata, col capitolo genovese che certo non può stupirci, mentre si profila un teorica ripresa del centrodestra, se i due galletti - Salvini e Berlusconi - la smetteranno di fare a chi ce l'ha più duro e grosso.

Ma più di tutto, secondo me, si profila il rischio che l'aspetto fondamentale del congegno Italicum, ovvero il pompaggio normativo di minoranze per ovviare alla non rappresentatività degli attori elettorali, appena e giustamente bocciato dalla Corte Costituzionale, ridiventi il punto centrale del dibattito politico, all'indomani dello storico(sic!) deragliamento della grande entente sulla legge elettorale.

La lontananza della classe politica dal corpo vivo della nazione per essere risolta richiederebbe una capacità di ascolto dell'elettorato di cui non vi è traccia da molto tempo, una capacità dalla quale fare discendere l'azione politica, mentre è del tutto evidente che il meccanismo in atto è quello di far corrispondere alle aspettative della gente l'autoreferenzialità di proposte insoddisfacenti che, non inaspettatamente, creano rigetto e disgusto.

Se il corpo elettorale non saprà pretendere dalla classe politica un cambio di atteggiamento, o se una qualsiasi forza politica non riuscirà a smetterla di trastullarsi col proprio... organo dirigente, noi non potremo che avviarci, più o meno quietamente, verso un regime rappresentativo di interessi che non potranno essere che di minoranza, o esogeni, ma più probabilmente sia l'uno che l'altro, secondo il modello così ben rappresentato dalla cabina di regia europea a trazione neoliberista e teutonica, quella che ha imposto tutti i tragici provvedimenti che ci stanno flagellando.

Il mio personale sentire fa si che io non mi senta certo costernato se i due dominus del centrodestra fanno a cornate, e nemmanco mi straccio le vesti se M5S va a sbattere sulle contraddizioni che ha tenacemente cercato di ignorare.
Però l'ambiguità del risultato piddino già mi inquieta di più, al pensiero degli equilibrismi dialettici del potente reparto marketing di quel partito, notoriamente tetragono alla verosimiglianza e connotato da una potente indifferenza al senso del ridicolo.

Però, andando un po' oltre le letture di questi risultati elettorali, quello che mi inquieta maggiormente è vedere l'inconsistenza del mondo di sinistra, che avrebbe a disposizione una storica possibilità di riscatto in un contesto che sembra fatto apposta per dare spazio ai suoi valori fondamentali e costitutivi: la solidarietà, la giustizia di classe, il valore della dimensione sociale ed il perseguimento della dignità individuale, mediata dal lavoro e dai diritti civili e politici.

Nelle ultime settimane in quel mondo si è sviluppato un dibattito, circa possibili processi di aggregazione, che io spero possa dare finalmente qualche frutto.     Perché ciò avvenga però devono accadere alcune cose.  
Prima di tutto è necessario presentarsi agli interlocutori, i detentori del diritto di voto, con l'animo disposto all'ascolto e con una propensione a fare domande, piuttosto che a presentare risposte preconfezionate.  

Altrettanto necessario sarebbe presentarsi non con una classe dirigente già pronta, e per forza di cose reduce da disastri precedenti di cui porta la responsabilità, bensì, e al massimo, con un corpo di coordinatori che mettano a disposizione la loro esperienza gestionale, lasciando che linea e direzione di marcia, nonché il ricambio graduale di quella classe, la esprimano i diretti interessati.

Più di tutto però sarebbe necessario dimenticarsi dell'ansia prestazionale da tornata elettorale.  La malattia che ha quasi ucciso il corpo sfatto della sinistra ha avuto un lungo, e non ancora terminato, decorso, e le lunghe malattie comportano cure prolungate.  Quel corpo malato ha bisogno di riprendere a camminare e non può certo aspettarsi di vincere una maratona entro il prossimo anno, ma neanche di arrivare al traguardo se è per questo.

Infine, e su questo tendo ad essere intransigente, sarebbe necessario pigliare tutti i vari pontieri alla Pisapia, più o meno in buona fede, e chiarire loro che se non si tolgono di torno più che alla svelta potrebbe anche capitare che si salti la fase dialettica della confutazione delle tesi per passare a formule espressive meno concilianti e più stringenti circa la loro oggettiva, ma spesso anche consapevole, intelligenza col nemico.