mercoledì 5 agosto 2015

Quando si supera una soglia.

Recentemente si è consumato un mio piccolo dramma personale. Mi ero coinvolto, con entusiasmo, in un movimento che si proponeva di promuovere la nascita e lo sviluppo di una sinistra che fosse radicalmente lontana dai vizi che l'hanno sempre condannata al fallimento per asfissia. Niente verticismo, dunque, e linea e programma scaturenti da una coralità d'intervento dei partecipanti, peraltro provvisorie e da sottoporre al vaglio di un elettorato che, potenzialmente, avrebbe potuto anche modificarle cospicuamente.

Modello di riferimento, ma non necessariamente impegnativo, avrebbe dovuto essere Podemos, dove un nucleo di "specialisti" di scienze sociali e di attivisti politici hanno messo a disposizione di una base, magari priva di pregresse esperienze politiche, organizzazione, metodi di analisi e "consulenza" tecnica, ma per il resto con l'esplicito proposito di non eterodirigere il processo di elaborazione dei contenuti e delle finalità.

La possibilità di ovviare a quelle che io ho sempre ritenuto le "tare" della sinistra, verticismo, come torno a rimarcare, intolleranza ideologica, pratica egemonica e presunzione di capacità dirigenziale tutta da verificare, mi affascinarono e decisi di dare il mio piccolo contributo, convinto che, tra la mutazione neoliberale del PD e l'alternativa populista, e a mio vedere mendace, di M5S l'unica strada praticabile fosse la costruzione di una sinistra nuova e differente, in grado anche di accogliere il sentiment delle generazioni di giovani che si affacciano alla vita con un vissuto differente rispetto al mio, ultrasessantenne figlio di quella straordinaria esperienza che fu il '68.

Tra questi giovani e quelli come me c'è una sorta di vuoto esperienziale. Io sono il risultato di una continuità con le esperienze di chi mi ha preceduto. I termini di confronto dei quali mi avvalgo sono la mia elaborazione di un continuum fino a quel momento fluito senza vuoti o cesure.

I giovani coi quali mi confronto, invece, il più delle volte emergono da un'interruzione di quel processo, indubbiamente propiziato dallo smarrimento della via da parte di una sinistra moralmente subalterna, in questo periodo storico, ad un liberismo trionfante.

Maneggiamo i medesimi elementi, ma vi affidiamo significati differenti e spuntano quelle bizzarre asserzioni, in passato strumentali ad una destra che rifiutava di fare i conti con il proprio passato, come il concetto, straniante, che destra e sinistra siano categorie sorpassate.

Per quello che posso cogliere io, la presa di distanza dei giovani avviene principalmente sui connotati politici di un contendere che loro ritengono responsabile dell'attuale stato di cose, ragione per la quale se ne tengono alla larga e optano per un'assenza programmatica oppure concedono il loro favore a proposte antipolitiche, come quella di M5S.

Ritengo fondamentale promuovere un dibattito su questa mistificazione del presunto superamento dei concetti di destra e sinistra, perché la dimensione politica di quella contrapposizione non risiede nelle ideologie, che sono meri strumenti, ma nella dimensione sociale e antropologica.

È la tua visione della società, il tuo concetto di solidarietà, la tua idea di cosa è giusto e di cosa è sbagliato a qualificare su quale versante ti disponi, di diritto prima ancora che per scelta.

Questo, tra l'altro, comporta il superamento di uno steccato ideologico che affonda le sue radici nella nostra condizione di stato subalterno ad un potere confessionale effettivo che ingessa il dibattito.

Possiamo veramente non includere nella sinistra quelle componenti cattoliche che del riscatto degli ultimi della terra, declinato in una sfera sociale, hanno fatto la loro ragion d'essere? Possiamo isolare o mettere in quarantena i focolarini per esempio? O la Caritas? Ci siamo già scordati di Don Gallo?

È ovvio che nella pratica emergono frizioni e contraddizioni, in particolare sulle cosiddette questioni "di coscienza", ma queste avrebbero una forte probabilità di composizione, nel momento in cui si dovesse riuscire a superare le polarizzazioni imposte dalle componenti più intolleranti delle due parti.

Insomma, a mio avviso, è fondamentale superare quella dimensione elitaria che rende la "cooptazione", termine che non scelgo a caso, nel sacro recinto della sinistra non molto dissimile dai criteri schizzinosi e intimamente classisti che informano l'accettazione in un esclusivo country club.

Questo significa accettare indiscriminatamente tutti? Certo che no, altrimenti faremmo il paio con le primarie che consacrarono Renzi, innalzato sugli scudi dalle truppe cammellate del centrodestra, indebitamente infilatesi nel processo di identificazione della dirigenza di un partito teoricamente di centrosinistra. Ma bisogna fare lo sforzo di comprendere che i connotati antropologici di riferimento sono cambiati, e anche se gli strumenti classisti di coercizione sono rimasti sostanzialmente identici è cambiato il quadro operativo.

Noi "anziani" tendiamo naturalmente a fornire risposte che sono maturate negli anni '50, '60 e '70, ma il quadro sociale, grazie alla crisi, alla distruzione dei diritti faticosamente costruiti ed alle cosiddette riforme renziane è riconducibile maggiormente ad una fase molto precedente, direi agli anni '10 del secolo scorso, e speriamo che non si arrivi a Bava Beccaris.

Questi giovani non hanno prospettive, campano in genere grazie a redditi familiari che non dureranno per sempre e, fenomeno sottovalutato, non hanno mai maturato una risposta critica alle condizioni che patiscono, a differenza di chi li ha preceduti.

Non basta questo a convincerci che vanno ascoltati senza ingombranti paternalismi?
Non basta la constatazione che questo mondo, questa situazione, che a noi appare aliena, è in definitiva la "loro" realtà, l'unica che conoscono, che li accompagnerà nella loro esistenza, quella cui si devono adattare e che dunque a loro sta il compito di creare gli appositi e peculiari metodi di interazione?

Eppure ciò non avviene e, anzi, troppi tra quelli che si coinvolgono in esperimenti di rinascita divengono i portatori dell'esigenza, mortifera, di costituirsi in una sorta di Sant'Uffizio per la "purezza ideologica" e sfoderano presto la nota incapacità di gestire un confronto dialettico critico. Se la loro visione viene contestata, o anche solo discussa, si lanciano immediatamente nel confezionamento di pagelle infamanti o, se contestati nel metodo, si rifugiano in giudizi personali non pertinenti (hai un pessimo carattere).

Tutti hanno opinioni specifiche ed è lecito averle care, ma se brighi per omologare l'universo mondo al tuo sentire non fai altro che chiudere al confronto per non fare la fatica di metterti in discussione.

Questo a livello personale. Se la pratica viene invece trasportata a livello di strategia politica allora siamo in presenza della ben nota, e disastrosa, pratica egemonica, quella, per dire, che consegnò la Spagna a Franco, perché parve più importante far fuori gli anarchici che i nazionalisti, quella che, a un certo punto, mi convinse ad abbandonare la militanza attiva, visto che passavo più tempo ad accapigliarmi con Avanguardia Operaia che con i fascisti.

Aderendo a quel gruppo pensai, sperai, di potermi lasciare alle spalle questi meccanismi e, per un po', potei cullarmi nella convinzione che fosse maturata una robusta risposta alla loro nefasta influenza.   Ma sulla distanza vidi apparire all'orizzonte alcuni personaggi, estremamente assertivi e non scevri dal rivendicare una certa superiorità intellettuale e sapienziale, che in breve si arrogarono il diritto di contrabbandare le loro convinzioni quali linea politica del gruppo, il che è abbastanza strano vista la fase d'impianto dell'iniziativa, il riferimento a Podemos (in proposito venni informato che era un mio "trip", cosa falsa peraltro) e la totale assenza di un circuito formale e condiviso di definizione di programma e linea, tuttora in fase di definizione, checché se ne dica.

E fin qui potrei accontentarmi di definire criticamente quei personaggi, ma il fatto è che una volta acceso il dibattito, e sperimentata la solita panoplia di repliche assertive e indimostrate, nonché il solito ricorso a giudizi personali avvilenti (se fossi stato una donna, probabilmente, mi sarei sentito chiedere se avevo "le mie cose"), ho rilevato che quegli atteggiamenti non erano sgraditi ad alcuni dei più importanti amministratori del gruppo (che al momento si articola in una dimensione social), che intervennero avallando un presunto, e molto opportuno, personalismo narcisistico da parte mia, e allora ho capito due cose:
  • la nefasta pratica egemonica stava prendendo corpo e consistenza;
  • le mie considerazioni, evidentemente eretiche, erano già trattate quale espressione di una "cosca perdente", collusa, ideologicamente sospetta e non conforme a qualcosa che era stata proditoriamente eletta a riferimento programmatico.
Avrei potuto rimanere e lottare per le mie convinzioni, ma sono stanco di queste guerre. Ne ho viste a decine e so a quali abissi di impresentabilità possono arrivare. D'altra parte non mi andava neanche di promuovere un'opposizione che avrebbe potuto avere, se di successo, solo un esito scissionista. Sai che novità, e sai che comprovata efficacia.  Non intendo distruggere nulla, ma neanche collaborare, senza diritto di replica, a qualcosa che reputo sbagliato.

Dunque me ne sono andato e la cosa mi ha molto depresso, non perché non l'ho avuta vinta, ma perché, una volta di più, si è persa una buona occasione. Quell'esperimento, ne sono certo, ha in sé le stimmate del fallimento ed è un peccato, soprattutto per quei giovani che affrontano la vita isolati e separati, senza la coscienza di costituire un gruppo sociale in grado di farsi sentire.

Perché questa lunga giaculatoria? Perché sentivo il bisogno di mettere nero su bianco il mio pensiero.  Non ho fatto nomi e non ho identificato il gruppo e solo chi mi è più vicino, o ha assistito allo scontro, può contestualizzare la cosa. Non mi interessa sabotare e neanche vendicarmi, mi interessa solo esprimere dei concetti che non so neanche se verranno letti, ma che potrebbero fornire spunti, anche critici, a chi volesse leggerli.

So già che potranno anche suscitare reazioni alquanto negative, e non solo nei miei oppositori in quel gruppo, perché ho sostenuto cose che, nel panorama mentale di una "certa" sinistra, sono sospette, sbagliate o, per alcuni, un vero e proprio tradimento che mi potrebbe guadagnare l'etichetta, non molto esclusiva, di "fascista", ma non mi interessa.

Sono sul viale del tramonto e l'ultima scintilla si è appena spenta. Non concorro a premi simpatia e sono convinto che il riscatto passa solo dal coraggio di una radicale riscrittura delle strategie.


Se tutte le tue ricette hanno, ripetutamente, fallito non è l'esperimento che è stato condotto male, ma è la teoria che deve essere riesaminata. 
Questa è l'essenza del metodo scientifico, e dato che il marxismo-leninismo si fregiava della qualità di scientifico, ce n'è abbastanza da indurre a rivedere alcuni elementi.

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