giovedì 23 aprile 2015

Sporchi "negri" e "puzzolenti" immigrati. Non siamo sempre stati la sponda su cui approdare.

Prima di tutto vorrei proporre questo “illuminante” passo di una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912:


"Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali".




La relazione così prosegue: "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".



Ho pensato di proporre questo testo  solo per far rilevare quanto alcune argomentazioni, di cui fummo a suo tempo vittime, ricorrano, ora che i "puzzoni" sono altri, a danno di qualcuno che ha il solo torto di essere quello che noi eravamo, e che in parte stiamo tornando ad essere, anche se ora non emigrano più braccianti e artigiani, ma laureati che poi, magari, vanno a fare i lavapiatti a Londra o Berlino.


Vorrei anche far notare che quegli implacabili WASP, tutti loro dal primo all'ultimo, non erano nativi di quella generosa terra. Di prima, seconda, terza o quarta generazione venivano tutti dall'Europa principalmente, e siccome avevano brutalmente sottratto la terra ai veri nativi, sterminandoli e perpetrando ogni sorta di nefandezze, forse si figuravano che i pezzenti nuovi arrivati si sarebbero comportati nello stesso modo, come se le nazioni navajo o chippewa, algonchina o irochese potessero essere paragonate a quella statunitense in termini di organizzazione, capacità di resistenza e rapacità.

Il problema è grosso, ha molti aspetti e fino a quando non ci si decide a prenderli tutti in esame, senza pregiudizi ed egoismi da tutelare, ciascuno ha buon gioco a sostenere tesi che stanno in piedi solo perché, opportunamente, non vi si include quello che non funziona.

Io partirei da una frase che mi diceva sempre mio nonno Luigi, uomo di grande saggezza, che nella vita non conseguì alcun rilevante risultato, ma che arrivò ad avere una profonda comprensione dell'animo umano. Roberto, mi diceva, quando piove puoi aprire l'ombrello o bagnarti. Se vuoi puoi anche pretendere che faccia bel tempo, ma in genere non serve a un cazzo (il "francesismo" è mio). Se quello che accade è al di fuori del tuo controllo o ti adatti o sei illuso ed egocentrico.

Chi mi conosce sa che non posso certo ergermi a difensore delle basi cristiane della civile convivenza, dunque eviterò di spiegare, a chi invece vi si riferisce, concetti quali la compassione, la carità cristiana, il rispetto per l'altro e la capacità di anteporre la pietà al giudizio, sono un peccatore militante e sarei poco credibile.
Chiedo però a taluni osservanti se hanno mai provato a verificare la sintonia tra quello che professano e quello che provano, e se sono abbastanza umili da riconoscere che se talvolta le due cose non combaciano è perché difendono quello che hanno a prescindere dalla sfortuna di chi potrebbe, forse, metterlo in discussione.

Chiedo loro le ragioni della loro indifferenza rispetto al fatto che, in genere, il nostro tenore di vita, anche quello più problematico, è comunque assolutamente superiore a quello di quell'umanità disperata che ci incute tanto timore e disprezzo.
Chiedo anche come mai hanno così opportunamente rimosso la semplice constatazione che, essendo l'economia liberista un sistema a somma zero, il nostro benessere è ottenuto a spese di quegli immigranti “importuni”, e dunque che le ragioni per le quali non “se ne stanno a casa loro” iniziano proprio dalla difesa, cinica ed egoista, del nostro benessere.

Chiedo pure di fare uno sforzo di immedesimazione. Quanti di noi, date le condizioni di vita che comunemente sperimentiamo, riterrebbero un'opzione da valutare abbandonare la propria terra, sottoporsi all'arbitrio di luridi mercanti di carne umana, alla loro violenza, alla loro sopraffazione, al loro disprezzo per la vita e la dignità per poter avere il “privilegio” di ammassarsi su rottami galleggianti, sapendo di poterci lasciare le penne, ma nel contempo con più di una ragione per ritenere questo rischio sufficientemente giustificato?

Siamo sicuri che un fenomeno del genere si possa arginare nei termini che sento richiedere, senza rendersi complici di crimini contro l'umanità?
C'è stato certamente un tempo nel quale il numero di barconi è diminuito. E' stato “ai bei tempi di Gheddafi”, quando il flusso venne arginato a prezzo di provvedimenti dei quali, molto opportunamente, non volemmo saperne nulla, che se ne macchiassero pure quei “selvaggi beduini” senza Dio, o col Dio sbagliato. 

Ma il problema generale non venne risolto e Gheddafi non ci favorì certo gratuitamente. Dunque semplicemente appaltammo a terzi, e a caro prezzo per di più, la ferocia e la disumanità necessarie perché non venissimo più disturbati, se non in misura minima.
Vi sta bene così? Allora non abbiamo più nulla da dirci e gradirei anche non aver più ulteriori interazioni, grazie.

Altrimenti dico che bisogna intendersi. Quale tipo di soluzione si vuole perseguire? Succeda quello che volete basta che non mi vengano più rotti i coglioni? Commovente! Peccato che non è perseguibile. Anche sfoderando la più desolante durezza d'animo e anche disposti a perpetrare i peggiori delitti contro l'umanità, noi siamo comunque sulla rotta più immediata e conveniente per giungere in Europa. Una soluzione ci sarebbe: potremmo alimentare una guerra civile sul nostro suolo, così da farci diventare esattamente come la situazione dalla quale sfuggono. Conveniente no? Sappiate comunque che per sbarcare a Lampedusa alcuni hanno lasciato il loro paese in guerra per attraversarne altri messi non molto meglio, o percorsi da torme di delinquenti spietati, perché fermarsi dunque al Golfo della Sirte?

Dunque che fare? Si dovrebbero fare molte cose e contemporaneamente, per alcune delle quali dovremmo diventare più consapevoli di quanto siamo ora e per altre dovremmo poter contare su di un'umanità che multinazionali, nazioni affamate di materie prime e compagnie petrolifere ipertrofiche non hanno mai dimostrato di essere interessate a manifestare.  E comunque qualsiasi soluzione avrebbe bisogno di tempi molto lunghi, costanza e coerenza, mentre il problema delle morti in mare e dell'accoglienza di tutta questa gente è immediato e nessuno, dico nessuno, ci prova neanche a valutarlo e risolverlo.

Dunque quando mi sento dire: fai alla svelta tu, ma che soluzione proponi, ecco a me girano subito i maroni. Ma che significa? Non ci sono soluzioni, ma solo prassi da attuare e ricollegarsi con la propria umanità. Trovare il giusto equilibrio tra “buonismo” di maniera e sconsiderata xenofobia. Riconoscere che la fusione di culture e abitudini causa attriti e scintille e darsi pace per questo, dato che è inevitabile, e magari ricordarsi che se tratto male qualcuno questi o è un santo, oppure mi ripaga della stessa moneta, e questo vale a tutte le latitudini. 

Infine ricordarsi, sempre, che non possiamo ritenerci innocenti per quello che succede. Sto scrivendo questo testo su di un tablet con un'ottimo rapporto prezzo/qualità. Per produrlo, o meglio per produrre i componenti elettronici che lo fanno funzionare, decine di persone sono morte in Congo, vicino al confine con il Ruanda, ed altre sono state ferite e ridotte in schiavitù per estrarre il coltan necessario. Ecco, basta essere consapevoli di cose come queste, tanto per cominciare.   Il resto lo fa la decenza di cui però bisogna essere dotati.


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