domenica 23 febbraio 2014

Il bicameralismo perfetto, l'opposizione e il dodo delle Mauritius.

Tutti concordano sul fatto che la risistemazione degli assetti economici e funzionali del nostro paese debba passare prioritariamente dall'eliminazione di sprechi, stipendi pubblici abnormi, prebende ingiustificate, strutture ipertrofiche e inefficienti ed ogni sorta di flagello che appesantisce questo nostro decadente paese, ed io concordo, in linea di massima, ma non vorrei che ci facessimo prendere da un eccessivo entusiasmo.
Una piazza piena di gente vociante e indignata, in genere, è un buon ambiente per demagoghi e borseggiatori. I primi vi derubano della fiducia, i secondi del denaro; ambedue contano sul fatto che stiate guardando il loro indice e non la luna di cui vi stanno alleggerendo.

La tecnica è antica e ben sperimentata. Consiste nell'affastellare, l'una sull'altra, tutte le storture che ci affliggono e alimentare per bene la nostra indignazione.
A questo punto, senza soluzione di continuità e con destrezza, basta inframezzare alle soluzioni e provvedimenti più sensati e condivisibili anche alcune sapienti ricette che, grazie alla cecità indotta dalla nostra foga, ci fanno apparire convenienti, anzi irrinunciabili, alcuni disegni di vera e propria controriforma autoritaria.

Molto determinante, in tal senso, è anche la tendenza ad affidarsi a parole d'ordine e soluzioni preconfezionate, evitando così la fatica di affrontare dubbi e dirimere controversie e contraddizioni.
Vuoi mettere un bel “sono tutti ladri, dovrebbero andare in miniera”? 
Non stai a guardare troppo per il sottile e butti tutti nel pattume, gli indegni che effettivamente se lo meritano e quelli che ostacolano l'accorto mestatore, e per cena sei libero da impegni e puoi spaparanzarti davanti alla televisione, magari abbeverandoti a qualche talk show dove il conduttore pensa che per fare giornalismo d'inchiesta basti fare la “faccia feroce” e proferire slogan di sicuro effetto, o propalare letture alquanto discutibili e convenienti dei fatti (Formigli e Vespa, per intenderci e secondo il mio sindacabile giudizio).

Un esempio? Il finanziamento pubblico ai partiti. E' difficile, oggi come oggi, esprimere dubbi sulla sua abolizione, si viene “asfaltati” (ah, il renzismo) di fischi, insulti e generale riprovazione. Tentare di argomentare che il male non consiste nella fonte pubblica del finanziamento, ma semmai nella sua consistenza faraonica e nell'utilizzo indegno che se ne fa, significa passare per colluso. Tutti, per puro e semplice processo dicotomico e visto che nessuno ancora sostiene apertamente che la politica dovrebbe farla solo chi se lo può permettere, si buttano sull'alternativa del finanziamento privato, come se questo fosse privo di rischi. Non voglio qui sostenere l'una o l'altra forma, ma mi piacerebbe poterne parlare (o sentirne parlare) senza preconcetti o dogmatiche esclusioni.

Ancor più pernicioso appare il dibattito sulla consistenza della compagine parlamentare. E' pur vero che abbiamo un eccessivamente cospicuo numero di parlamentari, ma mi sembra che tale fatto sia rapidamente divenuto il pretesto per eliminare il bicameralismo perfetto, adducendo motivazioni di ordine economico e funzionale opportunamente e previamente ben agitate.

Si vuole forse sostenere che dimezzare i seggi delle due camere sarebbe più impegnativo che eliminarne una? Ridicolo. E per quanto riguarda l'aspetto funzionale è francamente ipocrita vantare la maggiore efficienza della singola lettura nel processo legislativo. Se è per questo i regimi dittatoriali o la monarchia assoluta sono enormemente più “efficienti”, come sapevano bene i nostri padri costituenti i quali, reduci da un ventennio di dittatura fascista, hanno pensato bene di dotare il nostro sistema parlamentare di robusti anticorpi. Perché non prevedere, per le due camere, ambiti e sfere d'azione separate, ma uguale competenza su alcune limitate fattispecie, bilancio, tematiche costituzionali e difesa per esempio?

Una volta instaurato un sistema monocamerale, o comunque privo del doppio esame, chi può dire quali obbrobri potranno passare in un regime dove la maggioranza, in virtù di una legge elettorale fortemente maggioritaria unita ad un tasso di astensionismo terrificante, potrà fare virtualmente quello che vuole e senza adeguato contraddittorio? 

Perché è questo ciò che avverrà. Lo si è voluto nascondere dietro la “specializzazione” delle camere e la composizione “già previamente stipendiata” dei senatori tratti dalle istituzioni locali, ma in sostanza si vuole spianare la strada ad un nuovo regime dove le minoranze faranno la fine del dodo delle Mauritius, estinto da tempo.

Ci stanno ancora una volta menando per il naso, però stavolta con la nostra entusiastica approvazione.

martedì 18 febbraio 2014

Cronache del "dopo bomba".

Nei giorni scorsi, su Facebook, ho manifestato la speranza che il PD, alla prossima tornata elettorale, pagasse un prezzo pesante per il disprezzo dimostrato verso quella parte del suo elettorato, piuttosto consistente, che proviene dalla tradizione socialista e comunista.
Una sorta di ululato alla luna il mio, reso ancor più vano dalla consapevolezza che il popolo italiano, già resuscitatore di pregiudicati e impalmatore di novelli Peron, potrebbe pure decidere di gratificare il mentalista fiorentino di un'approvazione che mi farebbe accarezzare il proposito di dichiararmi apolide.
Sono stato immediatamente commentato da un mio amico e collega (essendo leggermente più anziano di me ha lavorato pure con mio padre) che è rientrato da qualche anno in Italia, dopo aver lungamente operato nella filiale parigina della defunta azienda per la quale lavoravamo, e che contempla il desolante quadro nel quale viviamo con ancora più straniata incredulità di quella che proviamo noi, che vi siamo sempre stati esposti.

Mi ha imputato un “grossolano errore di valutazione”, sostenendo che “quando gli italiani votano 1/3 PD, 1/3 Berlusconi et 1/3 Grillo c'è poco da stare allegri. Renzi è l'ultimo treno per Yuma”. Ancora una volta viene invocato un pragmatismo che, a mio parere, ha già dimostrato tutti i suoi limiti.
Sono stato fino a febbraio dell'anno scorso, pervicacemente e a dispetto dei campanelli d'allarme che risuonavano nella mia testa, un elettore del PD poiché in sostanza ritenevo che quel partito fosse l'unica possibile carta da giocare, anche se ero ben conscio della deriva "centrista" che minacciava di travolgerlo.
Dopo il voto del febbraio 2012, i maneggi di Napolitano e l'imposizione di un governo di larghe intese (alla faccia dell'elettorato PD che era contrario) non ho potuto che prendere atto del successo delle manovre egemoniche della componente postdemocristiana, della marginalizzazione della "cosca perdente" postcomunista e del prevalere delle ragioni mitteleuropee nel trattamento della crisi.
Mi sono allora chiesto: alla luce del supremo disprezzo dimostrato nei confronti dell'elettorato, del prolungamento del bacio della morte con il centrodestra e delle politiche economiche fallimentari perduranti, ha senso che io continui a prendere il PD come riferimento? E mi sono risposto che no, che sarebbe stato assurdo e contraddittorio, e questa risposta me la sono data molto prima che Renzi facesse ori, carte e primiera, come è recentemente accaduto.
Il mio amico sostiene che Renzi è l'unico che può sparigliare le carte. Forse, e forse no, ma se anche ci riuscisse credo proprio che i "rimedi" che potrebbe confezionarci non riuscirei proprio a digerirli.
In fin dei conti non posso dimenticare che a suo tempo manifestò il suo gradimento per quel detestabile individuo che dirige la defunta FIAT, salvo poi ritirarlo, senza vergogna e senza spiegazioni, non appena quell'endorsement divenne imbarazzante, per non parlare del senatore Ichino e della sua, per me, discutibile visione dello statuto dei lavoratori, altra incondizionata approvazione che il nostro ha poi opportunamente “sfumato”.
Il buon Matteo, come Berlusconi e Grillo, dice quello che gli serve, quando gli serve e senza preoccuparsi di smentirlo il giorno dopo, se la cosa gli fa gioco. Dove sarebbe la boccata d'aria fresca? Ci tirerà solo pacchi ben confezionati ed io ho esaurito la mia sopportazione e non ho più illusioni da coltivare.
Renzi non è responsabile dei tentennamenti e della pratica tatticista suicida della componente PCI (che ha fatto praticamente harakiri) ma si è limitato a trarne le opportune e per lui vantaggiose conseguenze.
Io non ho nessuna fiducia nella sua capacità di interpretare un piano di ripresa che abbia un respiro strategico. Come tutti i politici italiani (tranne Prodi che sarà pure una mortadella, ma che è l'unico che ho sentito parlare di prospettive ventennali) Renzi si limita a guardare la linea dell'orizzonte. E siccome i nostri politici non sono dei giganti il loro orizzonte è di conseguenza piuttosto vicino.
La furbizia da venditore "porta a porta", che conduce il buon Matteo ad esternazioni presuntamente ispirate (da Baricco?) e le ricette economiche suggeritegli da Davide Serra (il titolare di un hedge fund, figuriamoci) non potranno che condurci verso un'assetto neoliberista in salsa parrocchiale, e a me la cosa ripugna e non interessa.
Eccoci dunque alla domanda finale, che tutti ci poniamo: che fare? Pare che quasi tutti, tranne i renziani, rispondano "non lo so". Una risposta come questa denuncia tutta la drammaticità del momento.
Personalmente è la prima volta che mi trovo in questa situazione. In passato mi sono sempre trovato a condividere un progetto con qualcuno, magari minoritario e massimalista, come nella mia gioventù, oppure con un po' di pragmatico opportunismo, come negli ultimi anni di consonanza col PD, ma è la prima volta che non so dove sbattere la testa, e mai come ora l'offerta politica mi è apparsa cialtrona ed impraticabile. E' la prima volta in vita mia, e i prossimi che faccio sono i 60 anni, che non coltivo alcuna fiduciosa speranza e la cosa mi riempie di rabbia.
Votare PD non avrebbe alcun senso per me. Avevo pensato di optare per SEL, che da quando si è costituita ha rappresentato più adeguatamente il mio pensiero, e che ho colpevolmente tradito per rafforzare il "più grande partito dell'opposizione" (essere troppo furbi non è mai una buona idea), ma l'invereconda telefonata di Vendola con il dirigente ILVA mi ha molto raffreddato, e la recente emersione di una componente tatticista (Gennaro Migliore) durante il loro congresso mi ha ancor più scoraggiato.
Ci sarebbe la "coagulazione" dei vari pezzi e pezzettini della sinistra attorno alla lista per Tsipras, sulla quale alla fine ho puntato, ma è una creatura fragile ed il suo percorso è difficile e molto lungo.
Per come la vedo io i vari pezzi di sinistra ancora inglobati dentro il PD, sto parlando del personale politico e non di elettori, contano come il due di picche e non hanno alcuna speranza di incidere sul futuro di quel partito. Se rimangono al suo interno sono masochisti e si assumono la responsabilità di avallarne le scelte centriste.
Uscendone non combineranno forse, e sul momento, poi 'sto granché, ma potrebbe essere importante per una futura ripresa della sinistra in questo paese. Al minimo sarebbe una scelta di chiarezza, e di conseguenza un gran bel cambiamento.
Il PD, alle prossime elezioni potrà o affrontare un tracollo elettorale, pagando il prezzo di tutte le ipocrisie praticate, oppure cavarsela ancora una volta.
In questo ultimo caso vorrà dire che la connotazione del suo elettorato è molto variata e che si è di molto spostata verso il centro, magari pigliandosi anche un pezzetto di transfughi del centro destra.
Comunque vada, un disastro.


domenica 16 febbraio 2014

I puntini sulle "i"

Gira su Facebook un'immagine d'archivio (compare ancora Tremonti) di un incontro ufficiale tra Berlusconi e Napolitano.   Questa immagine, alla luce delle prossime consultazioni per la formazione di un nuovo governo, ha scatenato molti commenti al vetriolo, più che comprensibili, ma Ezio Rovida, in uno dei molti thread che si possono trovare in proposito, ricorda a tutti che:

"Berlusconi interdetto [è] privato dell'elettorato passivo (non potrà essere eletto) per il periodo della pena ma non di quello attivo ed è un cittadino con diritti politici. Quindi Napolitano a prescindere da ogni altra considerazione non ha alcuna facoltà di negargli un colloquio così come dovrebbe fare anche con l'altro pregiudicato, Grillo".



Siamo da lungo tempo in una situazione nella quale parole e principi funzionali della nostra costituzione vengono continuamente piegati e reinterpretati secondo le proprie convenienze.
Il Primo Ministro non è più un primus inter pares individuato dal Capo dello Stato dopo opportune consultazioni con le forze politiche, ma un “premier” consacrato dalla “volontà popolare”, i presidenti di regione divengono “Governatori” e via fantasticando, facendo dei canoni e delle regole di funzionamento della nostra repubblica un "mischione" di verità, interpretazioni disinvolte e partigiane e falsità opportunistiche dietro il quale è possibile dire qualsiasi cosa glissando furbescamente sulla necessità di aderire all'iter che le regole, sempre più disattese, imporrebbero.
Giova ricordare che il vero scandalo non è l'incontro tra Napolitano e Berlusconi, anche se avrei da ridire molto diffusamente e con grande ferocia sul conto di tutti e due, ma il fatto che la condanna definitiva del secondo non è ancora, a distanza di mesi dalla sua formalizzazione, divenuta esecutiva.

Come ricorda ancora Ezio, se Berlusconi: 

“fosse stato affidato ai servizi sociali avrebbe dovuto chiedere il permesso al giudice per andare da Napolitano e se fosse stato agli arresti domiciliari ovviamente non avrebbe potuto andarci. Ma la sua pena non è ancora esecutiva e questo costringe Napolitano a riceverlo come capo di Forza Italia. Molto più grave è la responsabilità di Renzi che trattando con lui l'ha praticamente riabilitato politicamente nonostante la condanna.

Queste considerazioni non attenuano per nulla la gravità del momento e la consapevolezza della metastasi che si sta propagando, ma rimettono al loro posto alcuni elementi che diverse campagne di propaganda, da ambo il lati della barricata, stanno opportunamente strumentalizzando.
La propaganda più efficiente è quella che parte da elementi di verità che, una volta acquisita credibilità e ascendente sui fruitori, si tramutano velocemente e con perizia in malversazioni e falsità. 
Rimettere dunque “i puntini sulle i ed i trattini sulle t” non è semplice e notarile pignoleria, ma una pratica opportuna e indispensabile, o ci siamo già scordati delle perniciose pratiche di marketing Berlusconi style? Si tendiamo a farlo, in realtà ci siamo assuefatti a quel malcostume. Ragione di più per ritornare, con puntigliosa solerzia, a ricordare quello che andrebbe fatto per individuare con maggior chiarezza quello che invece accade.

lunedì 3 febbraio 2014

Un libro è per sempre.







Ho aderito con entusiasmo al flash mob del 1° marzo, proposto su Facebook, che intende invitare la gente a recarsi in quella data presso una libreria per acquistare un libro. Visitando la pagina che sponsorizza l'iniziativa ho però incontrato alcuni commenti negativi a riguardo, cosa che non mi aspettavo di trovare.



Le motivazioni di tale dissenso hanno una certa ampiezza. Alcuni ammettono candidamente che preferiscono leggere ciò cui si può accedere gratuitamente, sul WEB o in biblioteca, e di questi tempi non è un'obiezione da poco.
Altri non gradiscono le "chiamate alle armi". Casi di personalità oppositiva?
Molti, con un piglio un po' snobistico (mi si perdoni per la maliziosa lettura che ne faccio) sostengono che i libri andrebbero comprati tutto l'anno e che, aderendo così "acriticamente" si rischia solo di comprare qualche libraccio privo di valore. Un chiaro caso di sfiducia verso il prossimo.   Naturalmente non mancano le letture un pelino dietrologiche circa gli interessi delle case editrici. Spesso le varie motivazioni sono abbastanza intrecciate e non sta certo a me valutarle o stilare una classifica di merito a riguardo.
Ognuno la pensa come vuole, ma mi sembra che più o meno tutti i contrari al flash mob manchino di considerare il valore simbolico dell'azione proposta che, mi sento ridicolo solo a precisarlo, vorrebbe spezzare una lancia in favore della cultura e del suo principale veicolo di trasmissione: il libro.

L'obiezione che più mi ha colpito è stata quella che, forse troppo severamente, ho definito un po' snob, perché credo che qualsiasi libro possa essere "l'agente patogeno" di quella benefica malattia che è il piacere della lettura.

Quando avevo 11 anni mio padre, esasperato dalla mia passione per i fumetti (considerati negli anni '60  un sicuro indizio di decadenza della civiltà e agenti di corruzione culturale), mi piazzò davanti uno scatolone stracolmo di volumetti di Urania, una rivista periodica di SF edita dalla Mondadori e considerata da molti appassionati non particolarmente pregevole, per via della qualità delle traduzioni e per i tagli selvaggi ai testi originali che operava.   
Proponendomeli mio padre, con una smorfia sul viso, mi disse: "se proprio non puoi fare a meno di leggere vaccate, perlomeno leggi questi che sono pur sempre dei libri". Anche la fantascienza non godeva di buon critica (non che oggi non abbia i suoi problemi), ma mio padre sapeva bene quello che stava facendo.

Ai tempi Urania si caratterizzava per il formato 14x20, una carta di pessima qualità, il testo su due colonne e la copertina quasi integralmente occupata da
un'illustrazione molto accattivante che, ai miei tempi, era quasi sempre di quel grandissimo disegnatore che rispondeva al nome, d'arte, di Karel Thole.   Nel complesso aveva tutte le stimmate del prodotto di infima qualità, secondo i criteri estetici del tempo, e poteva giustificare i pregiudizi di cui era vittima.    
Molti di quei romanzi, effettivamente, non erano di qualità eccelsa (grazie anche ai maltrattamenti degli editor), ma molti altri meritarono ottimi piazzamenti quando, finalmente, la fantascienza venne "sdoganata".
Quei volumetti, così sviliti e sottovalutati dalla cultura del tempo, indussero però in me la voglia di "consumare" ogni tipo di prodotto editoriale. 

Da ragazzino, quale ero, la dimensione avventurosa di quei racconti mi rapì, ed anche le magnifiche speculazioni futuriste, scientifiche e sociologiche (non che fossi in grado di riconoscerle come tali allora) mi affascinarono tremendamente. Divorai il contenuto di quello scatolone e quando, più tardi, inaugurarono una biblioteca comunale vicino a casa, divenuto oramai un consumatore compulsivo della parola scritta, ne divenni assiduo e onnivoro frequentatore. Una passione che non ho più abbandonato e che sono stato fortunatamente capace di trasmettere a mia figlia, insieme ad alcune sue ottime insegnanti.

In conclusione io non sottovaluterei troppo l'acquisto di un libro. Per qualsiasi ragione lo si faccia, e quasi sempre, comprarlo si rivela un buon affare.
Non tutti i semi che si spargono poi germinano, ma quelli che rimangono nel sacco possono solo marcire o languire inutilmente.